Informale
Tra il 1957 e il 1958 si compie il drastico passaggio di Ruga da una pittura figurativa di impostazione ancora accademica a un linguaggio visivo totalmente informale. Tale svolta si compie piuttosto repentinamente tra 1957 e 1958 e si traduce in soluzioni visive sostanzialmente differenti dall’ultimo naturalismo che come è noto caratterizza una parte della corrente informale italiana. Per meglio dire: per Ruga la natura è sempre il riferimento principale, ma non in termini di restituzione sensibile dei valori materici e coloristici riconducibili a proiezioni liriche o empatiche del paesaggio. Risulta piuttosto evidente come nei suoi primi esperimenti informali egli affidi a tratti di colore piatti e determinati la forza comunicativa dell’immagine. Segni (o aggregazione di segni) che preludono alla sintesi grafica dei successivi esiti maturi neofigurativi, e che in questa fase conservano una sorta di pulizia del gesto.
Ancor più nelle opere del 1960-62 (fra cui molte carte, che denotano una fervida attività di sperimentazione), questo segno significante si irrobustisce fino a diventare più corposo e sciolto, evidentemente gestuale, volutamente nero (o bianco, per contrasto manicheo e simbolico, non gestaltico). Si tratta certamente di una fase circoscritta, che tuttavia segnala inconfutabilmente la maturazione di precisi stimoli esterni che iniziano ad essere ora interiorizzati dall’artista.
Tali sollecitazioni esterne, captate dall’ormai trentenne Ruga, sono da individuarsi ancora una volta nel ricco bouquet di mostre che le gallerie torinesi offrono in quegli anni, e più precisamente in due versanti complementari della ricerca contemporanea astratta: da un lato la pittura segnica e gestuale italiana, europea e americana (Scanavino, Crippa, Fontana, Capogrossi, Accardi, Wols, Hartung, Mathieu, Tobey, Kline, Twombly), e dall’altro quella delle avanguardie giapponesi.
– Luca Bochicchio (2021). Angelo Ruga. Sulla soglia del labirinto. Pistoia: Gli Ori. pp. 55-56.