In “Angelo Ruga 1930-1999. Sulla soglia del labirinto”. I quaderni della Lavanderia n°1, 2019.
La soglia rappresenta una condizione esistenziale incerta tra due dimensioni e sospesa nel tempo: una sorta di stasi, di stallo nel moto del corpo e dello spirito. Nel pensiero mitologico essa rappresenta il varco tra il mondo terreno e quello ultraterreno, e nei culti nordici è abitata dagli spiriti degli antenati. Più vicina a noi nel tempo, Simone Weil trova nella dimensione della soglia una possibile zona metafisica di confine tra la filosofia e il pensiero mistico-religioso, in cui l’uomo può interrogarsi sulla percezione e sull’interpretazione dei segni del mondo, per tentare di comprenderli, e di comprendersi. Così sembra essere anche la soglia di Angelo Ruga: spalancata e sospesa su un mondo indecifrabile, che egli restituisce in immagini secondo uno schema e uno spazio labirintici.
Quello di Ruga è un labirinto ricorsivo; la sua produzione pittorica, che ab- braccia grosso modo l’intera seconda metà del Novecento, è attraversata sottotraccia da un moto circolare ricorrente: confuso e brulicante tra anni cin- quanta e sessanta, più esplicito e addirittura tautologico nei decenni successivi, fino all’ultimo quadro eseguito prima di morire, dove sulla tela si staglia una composizione circolare di prati e campi stilizzati, interdipendenti seppur fisicamente staccati l’uno dall’altro.
Tutto il suo percorso visuale (che comprende dipinti e disegni, oltre che sculture polimateriche) può infatti essere letto come una ricerca tesa a comprendere, un tentativo di decifrare, di decodificare e ricodificare i segni visibili e tangibili del mondo. Un mondo che, selezionato di volta in volta come campo, albero, collina o spaventapasseri, è sempre e comunque una sineddoche della terra tutta, dell’esistenza estesa a tutte le creature viventi. Una visione panica della natura antropizzata, dunque, agita in un continuo entrare e uscire dalla soglia del labirinto, un eterno ritorno del simile quasi ossessivo. Un ritorno ripetuto che insiste non solo sui temi più cari all’autore (gli insetti, i campi, le vigne, gli aeroplani, gli uccelli, la donna), ma sullo stesso soggetto identificato e identificabile (quella collina, quel corvo, quel paesaggio). I precedenti modernisti e moderni sono molti e illustri, dal tardo Monet all’impareggiabile Cezanne, quindi alla fase analitica cubista di Picasso e Braque, in un’evidente assonanza con gli studi sulla percezione e comprensione del mondo, che in chiave filosofico-spirituale ci riportano al pensiero percettivo di Weil. Quasi che nella reiterazione del gioco segnico, spaziale e cromatico (questi i tre strumenti della sua pittura), Ruga sperasse di poter trovare d’improvviso la chiave, la via d’uscita dal labirinto e il superamento definitivo (impossibile?) della soglia tra mondo percettibile e mondo metafisico.